Scrivo questo articolo alla fine della terza settimana del Distanziamento Sociale, la misura di prevenzione messa in atto in Italia e nel Mondo per combattere la diffusione del Covid-19. In questi ultimi giorni ho sempre voluto limitare di parlare di questo; pubblicamente e, a dirla tutta, anche in privato. Però qualcosa da dire ce l’ho e, alla fine, ho deciso di affidare i miei pensieri a questa specie di “diario”.
Questo post è del tutto diverso dagli altri che, nella norma, scrivo e pubblico per questo Blog.
Mi piace parlare di Brand e di piccoli business; perché questa è la Missione che mi sono scelta (e, un po’, ritrovata) nella vita.
Il fatto che io eviti di parlare di cronaca, questioni sociali o attualità non significa che sia cieca e sorda a tutto quello che succede intorno a me, e nel Mondo. Oggi ho sentito il bisogno di condividere con te ciò che penso, sento e provo in questi giorni; quello che segue è un po’ un flusso di coscienza, un po’ un diario. Non è scritto nemmeno tanto bene; ho perso qualche consecutio tempore; ma che vuoi farci, è uscito così, di getto.
Di sicuro è il mio pensiero; che non è per forza giusto, e di conseguenza non è per forza sbagliato. Se avrai voglia di dirmi la tua, fallo. Scrivimi una mail o cercami sui Social; purché la comunicazione avvenga nell’ottica di uno scambio positivo e pro-positivo.
Qualcuno la chiama clausura. L’ho fatto anche io: perché è una parola molto più facile ed immediata di “Distanziamento Sociale” e quando stai chiacchierando viene abbastanza naturale. Però non mi piace e non la trovo adatta: “clausura” sembra portarsi dietro un carico di negatività.
Eppure, clausura è trovare rifugio, protezione; scavarsi una tana. Significa scegliersi il posto che riteniamo più adatto a noi. Ma oggi, ormai, per ciascuno di noi questa parola ha acquistato un significato e una sfumatura un po’ differente.
Io ho iniziato a restare in casa con qualche giorno in anticipo rispetto ai decreti governativi. Non che sia un merito, per carità. Per me è facile: lavoro da casa da parecchi mesi, ormai. Mi succedeva anche prima di non lasciare le mie quattro mura per un giorno, a volte anche due. Certo, non era mai successo per tre settimane consecutive ma la verità è che non ne soffro.
In fin dei conti, io sto bene. I miei ritmi continuano ad andare avanti come al solito. Anzi, sono più serrati; la mia trainer, la favolosa Nicoletta Barra, mi tiene sul pezzo e non mi permette di lasciarmi andare – mi alleno più in questi giorni di quanto non abbia mai fatto prima. Sento i miei familiari, che abitano in un’altra città, ogni pomeriggio; ad un ritmo maggiore di quanto in precedenza.
Certo, sono preoccupata: per mio padre, per il mio ragazzo che continua a lavorare; e per chi vede occasioni passare, per chi ha dovuto rimandare un lieto evento, per chi soffre.
Certo, sono preoccupata.
Ma sono anche fiduciosa. Sono attaccata a questa fiducia, la stringo forte e non la lascio andare. Perché credo e voglio credere che questa esperienza possa insegnarci qualcosa. Perché credo e voglio credere che molti di noi siano disposti ad imparare questa lezione.
Io non voglio che tutto torni come prima. Leggevo un pensiero simile in questo articolo che Marzia Allietta ha condiviso con me (e la ringrazio ancora, e pubblicamente, per averlo fatto).
Unisco la mia voce a quel coro: io non voglio che tutto torni come prima.
Non voglio che, finita l’emergenza, quelli che oggi ogni giorno escono sui terrazzi e sui balconi per cantare insieme poi tornino a ignorarsi.
Non voglio che, finita l’emergenza, di nuovo ci dimenticheremo di medici e infermieri e di quanto sia preziosa e di quanto sia straordinaria la Sanità Pubblica. Non voglio che, finita l’emergenza, ci dimentichiamo di quanto siamo fortunati ad avere una Sanità Pubblica.
Non voglio che dimentichiamo che siamo una comunità, un gruppo; connessi l’uno agli altri. Non voglio che dimentichiamo che non possiamo vivere cercando di essere più furbi di coloro con cui condividiamo lo spazio, l’aria. Non voglio che dimentichiamo che abbiamo responsabilità comuni. Non voglio che dimentichiamo che se non pago le tasse sto togliendo lo stipendio al medico che deve curarmi, e che deve curare il mio vicino. Anche se non so come si chiama. Non voglio che dimentichiamo che non esiste un milanese che non sia anche italiano; un italiano che non sia anche europeo; un europeo che non sia anche un abitante di questo mondo. Non voglio che dimentichiamo che siamo tutti insieme. Tutti insieme. Tutti insieme.
Non voglio che questa lezione, che ci sta costando più di quanto avremmo mai voluto, venga dimenticata.
Non voglio.
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