Non sono diventata una Freelance dalla mattina alla sera: per me è stato un viaggio di un paio di anni. Oggi voglio raccontarti la mia storia. Questo è un articolo molto personale: lo scrivo perché credo sia giusto parlarti un po’ di me e di come sono arrivata a Nemawashi Studio. Lo scrivo per quelli che stanno valutando di fare lo stesso passo e cercano altre esperienze con cui confrontarsi. E lo scrivo anche per tutti quelli che “ah che bello, vorrei avere il coraggio di farlo anche io”.
Disclaimer obbligatorio: segue un post lungo, prolisso, personale. Ho cercato di trattenermi, ma ti sto raccontando la mia storia e l’ho scritta così come mi sarebbe venuta a chiacchierare davanti ad un caffè. O un bicchiere di vino. Magari prendi l’uno, o l’altro, prima di iniziare a leggere. E considerala come una chiacchierata fra amici.
Ciao, mi chiamo Giulia, ho 29 anni ho 29 anni+qualcosa e sono una Freelance.
Anzi, per essere precisa: Freelance e Home-Worker.
Freelance è un modo alternativo per dire “Libero Professionista”; invece non c’è una parola per tradurre Home-Worker, questo te lo devo un attimo spiegare. Significa che il mio studio ce l’ho in casa. Non lavoro in un ufficio, non lavoro in uno spazio dedicato solo e specialmente a questo. La mia scrivania è in un angolo di casa, per l’esattezza in quella stanza che – a seconda dell’occasione – può diventare studio, lavanderia (quando stiro, sic!), camera degli ospiti.
Ci sarebbe molto da dire già solo su questo: magari penserai che lavorare in casa è super comodo e, non lo nego, ha davvero dei lati positivi. Ce ne sono anche di negativi, però. Ma questo è materiale per un altro articolo.
Oggi voglio solo raccontarti la mia storia. Di come sono passata dal posto fisso in una agenzia pubblicitaria all’attività di Graphic Designer nel mio Nemawashi Studio.
Cosa avevo in testa?
Le idee chiare su cosa volessi fare da grande credo di non averle mai avute.
A 13 anni mi sono iscritta al Classico, salvo poi abbandonarlo per il Liceo Artistico. Arrivederci, Platone; benvenuto disegno grafico. Dopo cinque anni di lezioni e laboratori dalle 8 alle 17, invece di continuare dritta per la mia strada ho fatto una deviazione: mi sono iscritta all’Università, facoltà di Ingegneria Energetica. Volevo diventare la donna che avrebbe salvato il mondo trovando la risorsa energetica pulita definitiva. Oh, progetto molto bello. Ma non mi ero fermata a chiedermi se ero la persona giusta per realizzarlo.
Dopo poco mi sono fatta un grosso esame di coscienza e ho capito che non era quella la strada che faceva per me. Ho lasciato l’Università e mi sono iscritta ad una Accademia dove ho frequentato il corso di Pubblicità, Art Direction & Copywriting. Col senno di poi sono convinta di aver fatto bene: sono passati più di dieci anni e non mi sono pentita.
Nel raccontarti, adesso, del mio percorso mi viene in mente che forse non sono mai stata incline a rientrare in una definizione semplice, univoca. Oggi capisco che non c’è proprio niente di male ad avere tanti interessi, tante attività; ma non è sempre stato facile essere una Multipotenziale in un mondo ancora molto abituato all’idea che sia meglio specializzarsi.
Ma torniamo al nostro racconto…
La mia esperienza da Dipendente.
Poche settimane dopo la discussione della Tesi di Laurea ho iniziato a lavorare in una Agenzia Pubblicitaria.
In un anno ho imparato tutto quello che la scuola non poteva insegnarmi e, poiché la mia era una Agenzia indipendente e abbastanza piccolina, ho iniziato presto a seguire in autonomia i miei progetti, relazionandomi direttamente coi Direttori Creativi e i fornitori. Ero al settimo cielo.
Questo idillio è durato circa tre anni. Qualcosa, ad un certo punto, si è rotto.
Bisogna dire che non è un momento molto favorevole per la pubblicità, non quella “tradizionale” almeno. Là fuori è pieno di gente che siccome sa usare Photoshop si crede un pubblicitario. Per i proprietari della mia piccola Agenzia c’erano solo due strade possibili: puntare su un’offerta di qualità, mantenere pochi clienti (illuminati) e farsi pagare di più per un lavoro professionale; oppure scegliere di lavorare più in fretta, con meno cura, per riuscire a chiudere il maggior numero di contratti. Fatte le proprie considerazioni, hanno optato per la seconda strada.
Sia chiaro che non voglio giudicare, né dire che avrebbero dovuto prendere una decisione diversa. Entrambe erano altrettanto valide e si è trattato della loro legittima strategia.
Il problema è che io a lavorare in modo grossolano non ci riesco. È solo che sono del segno della Bilancia, ascendente Acquario e quindi sono una insopportabile precisina; è solo che ho una mania ossessivo-compulsiva per cui tutto deve essere perfetto; è solo che da quando ero bambina mi hanno insegnato che si deve dare sempre il 130%. Insomma, ho passato almeno un anno che ero sempre insoddisfatta e arrabbiata.
Da Dipendente a Libero Professionista.
Oltre a questo c’era un altro problema, nella mia relazione col mio posto di lavoro. Non riuscivo più a farmi andar bene il contratto da apprendista (ndr a tassazione agevolata) quando ormai ero in tutto e per tutto una Senior; non riuscivo più a farmi andar bene il foglio firme su cui gli straordinari non venivano mai segnati…
E poi, terzo e ultimo fattore, durante quell’ultimo anno in Agenzia ho fatto un grosso percorso di crescita; frequentavo lo studio di una psicologa e mi sono ritrovata nella relazione con quello che, ad oggi, è ancora il mio compagno. Insomma, circostanze che mi hanno costretto a chiedermi: ma io cosa voglio fare, di questa vita?
E insomma, ho consegnato la lettera di dimissioni. E quando ho lasciato il lavoro da Dipendente, e il posto fisso, e tutte le sicurezze che ne derivano, non l’ho fatto a cuor leggero. Non è stato indolore. Stavo rinunciando a tante cose e conoscevo con precisione l’elenco; ma stavo anche aprendo la porta ad infinite nuove possibilità.
I miei capi mi hanno offerto un aumento di stipendio perché restassi (e sì, questo lo dico con un certo compiacimento) ma, dopo attenta valutazione, ho rifiutato. E sono andata avanti.
Perché ho scelto di restare Freelance.
Il mio piano non era quello diventare Libero Professionista. Ho iniziato subito a mandare curricula in giro, a organizzare colloqui. Ho fatto anche qualche lavoretto saltuario. Perché nella mia testa era incrollabile la convinzione che l’unico posto di lavoro buono è il posto fisso. Così mi era stato insegnato, così credevo.
Solo che ‘sto posto fisso non lo trovavo. Perché nel frattempo ero diventata schizzinosa. Choosy.
A quelli che mi proponevano di lavorare in nero, dicevo no.
A quelli che mi proponevano un contratto da 15 ore ma in realtà poi erano 50, dicevo no.
A quelli che “ci serve un Social Media Manager, ma poi devi anche servire ai tavoli e pulire la sala” dicevo no.
A quelli che “ti paghiamo a in base a quanti contratti riesci a far firmare ai vecchietti” dicevo no.
Non dico che in Italia non ci siano più Datori di lavoro onesti. Lo so che ci sono. Però, mentre li cercavo, ho iniziato ad apprezzare la libertà di potermi autogestire, a sentire questo friccichio alla pancia che mi diceva “Sai cosa, magari puoi farla tu l’Impresa virtuosa e appassionata che vorresti“.
Ecco, è andata così. Ho aperto la partita IVA a settembre 2018 – anche se tutti mi dicevano di aspettare l’anno nuovo. Ma che ci potevo fare io, se sentivo che era arrivato il momento giusto?
Ci ho messo un sacco di tempo a capire che io, proprio io, alla fin fine il posto fisso non lo volevo. Che io voglio che ogni giorno sia diverso da quello prima e da quello dopo; che voglio continuare a trasformarmi, perché sono ancora la bambina e la ragazza che non ha deciso cosa vuole fare da grande; perché ho mille e uno idee per il mio Studio e chissà fra dieci anni dove mi avranno portato; perché mi piace avere una relazione diretta coi miei clienti e mi piace poterli scegliere, perché se tu non sei fatto per me e io sono sono fatta per te questa collaborazione probabilmente sarà infruttuosa per entrambi.
Ma, alla fine, oggi sono qui.
Ciao, mi chiamo Giulia, ho 29 anni e qualcosa e sono una Freelance.